firenze restaura - 2012 - la mostra virtuale
"Firenze Restaura”, quaranta anni dopo
E’ con viva soddisfazione che come Soprintendente dell’OPD saluto i visitatori di questo nuovo servizio collegato al sito dell’Istituto, realizzato grazie all’impegno e alla creatività di Anna Mieli e Giancarlo Buzzanca e dei loro collaboratori.
Per l’OPD, ma anche per tutta la storia del restauro in Italia, la mostra “Firenze Restaura” ed il relativo catalogo, curato da Umberto Baldini e Paolo Dal Poggetto, hanno avuto una grande importanza, come un pilastro alla base del moderno restauro italiano. “Firenze Restaura” era la prima mostra di enormi dimensioni di opere d’arte restaurate che portò il restauro da essere una disciplina per pochi addetti ai lavori a divenire un fenomeno che interessava il grande pubblico, con migliaia di visitatori. Anche il catalogo, grande come un libro d’arte, rappresentava il superamento per la prima volta degli smilzi fascicoli, sino ad allora editi per illustrare anche importantissimi restauri. La sterminata esposizione, tenutasi dal 18 marzo al 4 giugno in un padiglione della Fortezza da Basso, aveva il sottotitolo di “Il laboratorio nel suo quarantennio”ed infatti due erano i principali temi trattati: un omaggio al fondatore del Laboratorio Ugo Procacci (1932), con la ricostruzione dei primi quaranta anni di attività, ed una presentazione degli interventi compiuti sulle opere danneggiate dalla drammatica alluvione del 1966, che si stavano compiendo nel nuovo laboratorio della Fortezza da Basso.
Dunque nella mostra e nelle pagine di quella che avrebbe dovuto essere solo una “guida” della mostra, era infatti previsto un catalogo scientifico delle opere che non fu mai realizzato, troviamo una importante documentazione per la storia del restauro a Firenze e sulla ricerca di soluzioni tecniche e metodologiche sempre più innovative ed avanzate, come quelle applicate nella Croce di Cimabue. I risultati conseguiti, e l’interesse del pubblico per il salvataggio del patrimonio artistico fiorentino, furono alla base, insieme all’intelligente interessamento di un altro grande fiorentino, Giovanni Spadolini, di quella riforma istituzionale che portò alla creazione di un Ministero apposito per i Beni Culturali, ed all’accorpamento e alla riorganizzazione di tutte le attività di restauro allora esistenti all’interno di un nuovo Istituto con competenza nazionale: l’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro così come oggi lo conosciamo.
Per guardare avanti, verso il futuro, bisogna avere una chiara consapevolezza della propria identità e della propria storia: per questo, nel ricordare gli 80 anni del laboratorio di restauro dei dipinti con una giornata di studi, tenutasi il 5 dicembre scorso, abbiamo voluto annunciare la nascita di questa ricostruzione informatica della mostra del 1972, quale ideale punto di partenza del moderno OPD.
(introduzione di Marco Ciatti)
Firenze Restaura 2012: La mostra virtuale
Tra il 18 marzo e il 4 luglio 1972, quarantesimo anniversario della Fondazione del Gabinetto dei Restauri della Soprintendenza alle Gallerie, si tenne a Firenze presso la Fortezza da Basso una grande mostra, ideata e realizzata da Umberto Baldini, successore di Ugo Procacci alla direzione del Gabinetto e Soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure e dei Laboratori di restauro della Soprintendenza alle Gallerie.
Quest’anno ricorre un doppio anniversario: l’ottantesimo della fondazione del Gabinetto dei Restauri e il quarantesimo della mostra che Baldini stesso definì “La più estesa rassegna che mai si sia fatta nel campo specifico” espressione che probabilmente anche oggi possiamo usare senza tema di smentite. Il numero di opere esposte in originale o riprodotte da foto su pannelli spesso a grandezza naturale sfiorava le quattrocento unità a cui va aggiunto un numero, impossibile da precisare, di pannelli illustrativi.
Nella memoria di molti Firenze Restaura è rimasta impressa come la mostra dell’alluvione, e molte sale erano ad essa dedicate, in realtà, era molto più articolata nei suoi temi, trattava infatti tra l’alto dei cattivi restauri eseguiti da operatori improvvisati, dei danni occorsi al patrimonio artistico durante la Seconda Guerra mondiale, dell’impiego di metodologie scientifiche al servizio del restauro, delle tecniche di restauro dei dipinti mobili e delle pitture murali (con consistenti accenni allo stacco degli affreschi) e del restauro di una grande varietà di oggetti, al tempo ancora attribuiti alla categoria delle arti minori, a testimonianza delle multiformi specializzazioni del Laboratorio Fiorentino. La mostra voleva anche essere un omaggio al Maestro Ugo Procacci, fondatore e primo direttore del Gabinetto dei restauri, più volte ricordato nella Guida e al quale venne dedicata la sala conclusiva. Nelle intenzioni di Baldini Firenze Restaura doveva essere anche un “manifesto politico” in favore di una più corretta gestione del restauro in Italia; nell’introduzione (p. 3-13 della Guida) tra l’altro scriveva “…oggi si rischia di vedere, per assurdo, andare in rovina le opere d’arte, in frettolosi e non ortodossi interventi, perché ci sono i soldi che debbono essere spesi entro quell’esercizio, pena la perdita. Ma chi ci perde in questo caso è purtroppo la conservazione dell’opera d’arte”. E ancora “…Occorre soprattutto in chi opera come in chi guida e dirige i lavori una preparazione tecnica seria e specifica, … che purtroppo non si fa, salvo rarissimi e sporadici casi, né a livello universitario, … né a semplice livello di scuola… Va bandito il sottobosco del restauro, va formata una coscienza di lavoro con una coscienza di responsabilità ad ogni livello…”.
L’idea della mostra virtuale, che oggi presentiamo per ricordare l’evento del 1972, è nata in seguito ad un’azione istituzionale di conservazione di materiale fotografico dell’Archivio dei restauri e fotografico dell’O.P.D., per valorizzarlo e renderlo fruibile da un pubblico il più vasto possibile. Si tratta di un’imponente collezione di fotografiedi grandi dimensioni, in bianco e nero e a colori (circa 350), che documentano l’allestimento delle sale della mostra, e di più di 1000 diapositive e negativi fotografici, relativi alle opere e ai pannelli illustrativi in esse esposti.
Le fotografie delle sale erano state archiviate a suo tempo in classificatori ad anelli, formato A3, e poste a coppie in fogli di plastica, sigillati con nastro adesivo molto robusto, che negli anni si era deteriorato, incollando i margini delle fotografie alla plastica che le racchiudeva. Sono state tolte dagli involucri con molte cautele, per non provocare ulteriori danni, e trasferite in buste idonee alla lunga conservazione. Anche i negativi erano in parte in precarie condizioni, perché spesso bordati di nastro adesivo nero, forse per facilitare una loro riproduzione, mentre le diapositive, protette da telai, erano in buono stato. Tutto il materiale è stato digitalizzato e posto in buste e contenitori idonei alla lunga conservazione. Seguendo l’elenco delle opere del catalogo della mostra, divise per sale, si è proceduto con l’inventariazione del materiale attraverso la creazione di un database in cui sono confluiti i dati identificativi di tutte le opere: città; localizzazione specifica; numero di inventario; soggetto; autore o epoca; numero di G.R.; numero della sala; numero dell’opera in catalogo; se l’opera era esposta in originale o in pannello. Tutti i dati sono stati controllati e normalizzati.
Per la normalizzazione ci siamo avvalsi di alcuni strumenti di ricerca online:
gli Inventari e il Catalogo digitali del Polo Museale Fiorentino;
il catalogo digitale della Fototeca della Fondazione Zeri;
la Union List of Artist Names online del Getty Research Institute, in particolare per la normalizzazione dei nomi degli artisti;
la rete, per individuare la collocazione attuale delle opere d’arte che, negli anni, dai depositi sono state musealizzate o sono tornate alle sedi d’origine o ancora, dalle chiese sparse nei paesini e borghi toscani, trasferite in piccoli musei nati sul territorio.
I dati identificativi delle opere, inseriti nel database, sono stati utilizzati per brevi schede descrittive a corredo delle immagini e talvolta arricchite da note storico-critiche.
Messo in sicurezza il materiale e aggiornati i dati delle opere, abbiamo pensato ad una mostra virtuale, che potesse dare un’idea sufficientemente chiara di quella originale, pur con i limiti invalicabili dovuti alla incompletezza della documentazione fotografica. Non tutte le pareti delle sale erano state fotografate e quindi è stato necessario un attento lavoro di ricostruzione della posizione delle opere, spesso è stato necessario anche ricostruire le sale con collage di fotocopie delle immagini delle pareti.
La straordinaria quantità delle immagini ritrovate, aveva fatto pensare che il materiale della mostra fosse completo, ben presto invece ci siamo resi conto che la documentazione era veramente lacunosa. Erano stati fotografati molti particolari, utilizzati per i pannelli illustrativi di corredo alle opere esposte, ma mancavano praticamente tutti gli interi delle opere. Fatta una verifica nei faldoni dell’archivio storico ci siamo accorti che gran parte delle immagini utilizzate per la mostra erano proprio quelle stesse archiviate con le relazioni di restauro. Avevamo trovato la parte più cospicua del “tesoro”, che di fatto era “nascosto” a portata di mano, proprio lì in archivio.
Ogni sala è esplorabile singolarmente, ma per rendere più facile e comprensibile la “visita” alla mostra virtuale, data la sua vastità (erano ben 61 ambienti), e la complessità dei temi trattati, le “sale” sono state suddivise in gruppi tematici e corredate dalle introduzioni originali tratte dalla Guida alla Mostra.
Le sale dedicate all’alluvione sono state evidenziate con pallini rossi, per dare al “visitatore” un ulteriore aiuto per il suo orientamento. La mostra è arricchita da filmati provenienti dagli archivi della RAI e articoli di giornale dell’epoca, oltre che da una ampia documentazione fotografica delle fasi dell’allestimento dei locali.
L’esposizione è aperta al pubblico gratuitamente, 24 ore su 24, e si può visitare online dal sito ufficiale dell’Opificio oppure digitando direttamente l’indirizzo: www.firenzerestaura1972.beniculturali.it
(introduzione di Anna Mieli)
Reale vs virtuale
Quando si adotta il termine virtuale solitamente la fantasia prende il sopravvento rispetto alla realtà.
E' anche vero che nella letteratura specializzata alcuni concetti legati alla virtualità non trovano ancora definizioni solidamente codificate. Il MiBAC, attraverso l'OTEBAC e la specifica pubblicazione “Mostre virtuali online. Linee guida per la realizzazione” (Roma, 2011), ha però pubblicato alcune utili raccomandazioni dedicate alla definizione dei concetti, alla illustrazione dello sviluppo e della realizzazione di progetti esemplari in questo campo. In questo testo il breve contributo di Susan Hazan e Shara Wassermann relativo alla “Mostra fisica vs. Mostra virtuale. ll punto di vista di chi lavora in un museo” chiarisce i termini della nostra azione progettuale.
Il valore aggiunto dell’esperienza virtuale è dato:
- dalla libertà di navigare attraverso i contenuti con un proprio percorso, ritmo ed esigenze culturali;
- dall’opportunità di allargare l’orizzonte delle conoscenze, passando da un contenuto digitale all’altro attraverso percorsi incrociati;
- dall’accesso ai contenuti culturali attraverso personal computer o dispositivi mobili.
Le citate linee guida sono destinate alle istituzioni culturali che mettono in atto strategie di valorizzazione e diffusione della conoscenza attraverso:
siti, portali e applicazioni web in grado di rappresentare efficacemente l’identità e l’attività dell’istituto e attuare strategie di informazione e divulgazione culturale e scientifica;
la collaborazione di figure professionali interne o consulenti esterni specificamente dedicati alle attività della valorizzazione e diffusione della conoscenza;
il recupero di eventi espositivi retrospettivi attraverso una riprogettazione in versione online.
E' proprio questo il nostro caso.
Nell' impossibilità di poter ricreare fisicamente la mostra del 1972 - il cui allestimento fisico era costituito, a parte le opere esposte ed i pannelli fotografici, da tubolari e tela usata per creare spazi, pareti, divisori e quinte sceniche - si è sviluppata l'idea di ri-proporre virtualmente la mostra stessa.
La virtualità, nel nostro caso, è sinonimo e strumento per la persistenza nel tempo della mostra stessa. E' una mostra temporanea che acquista, paradossalmente, consistenza e stabilità mediante la sua ricostruzione virtuale, che avviene attraverso la messa a frutto della enorme documentazione fotografica rinvenuta negli archivi.
Non è presente, in questo sito, nessun particolare artificio. Non ci sono ricostruzioni 3D, non ci sono le tipiche animazioni di cui il Web commerciale pullula e che costituiscono esempi (anche clamorosi) di non accessibilità del Web. Il percorso di visita che si dipana dalle sale o dalle stesse opere esposte è ricco di gallerie fotografiche con possibilità di attivare zoom sulle immagini con buona definizione di dettaglio.
La realizzazione del sito è, peraltro, avvenuta senza alcun costo per l'amministrazione che non sia quello legato all'uso delle risorse già disponibili.
(introduzione di Giancarlo Buzzanca)